Pensate sia possibile che un gruppo di adulti, decida di prendersi uno degli ultimi weekend, prima della fine dell’estate, andare al mare e trascorrere le giornate a ragionare sul tema del potere? Sicuramente possiamo dire che questo è possibile, perché dal 1 al 3 settembre si è svolto il “mini” campo degli adulti di Azione Cattolica a Igea Marina dal tema: l’etica del potere. Il formato del campo è ancora piccolo, cioè di pochi giorni, ma le intenzioni e le riflessioni di grande respiro, per provare a ragionare insieme su temi importanti, mettersi in discussione e provare a fare quel discernimento comunitario di cui c’è tanto bisogno.
Siamo partiti da una lettura della realtà, facendoci aiutare da alcuni materiali di diverso tipo: un olio su tela dal titolo: “Il problema con cui tutti viviamo” di Norman Rockwell. La tela ritrae un fatto realmente accaduto. E’ il 14 novembre 1960 , siamo a New Orleans e la bambina è Ruby Bridges. Rockwell decide di rappresentare questo evento che contribuirà al cambiamento sociale dell’America, grazie ai movimenti per i diritti civili, per l’integrazione tra neri e bianchi. Ruby fu la prima bambina afroamericana a frequentare la scuola dopo che un tribunale federale ordinò l’integrazione del sistema scolastico di New Orleans.
Rockwell ci mostra come il potere si insinua nella quotidianità delle nostre azioni e ne possiamo essere vittime o autori, più o meno consapevoli.
Abbiamo continuato facendo un cineforum sul film “A Chiara” (di Jonas Carpignano). Chiara, che è la protagonista, a 15 anni si ritrova dentro giochi di potere più grandi di lei, e dai quali deciderà di prendere le distanze e di cambiare completamente vita.
Abbiamo continuato poi leggendo alcuni brani letterari tratti da una rivista il cui curatore è John Freeman, critico letterario e giornalista americano. Questi racconti ci hanno aiutato a porci alcune domande: cosa significa la parola potere oggi? Come si manifesta, in quali ambiti? Come uomini e donne possono rompere le gabbie, le violenze e gli stereotipi che la cultura patriarcale ha costituito? Quali poteri è necessario smettere di esercitare gli uni sugli altri per vivere relazioni nuove capaci di libertà? Quale legame c’è tra potere e violenza? Che potere hanno le parole che diciamo?
Tutto quello che si è pensato, tra lavori personali e di gruppo, lo abbiamo poi lasciato illuminare dalla Parola di Dio.
Ed è stato in questo momento che abbiamo capito che la nostra idea, più volte enunciata nei gruppi, che esiste un modo buono di gestire il potere, forse andava smantellata. Ancora una volta ci veniva chiesto di cambiare il paradigma con cui ragioniamo e di convertirci.
Infatti Gesù dice che è venuto non per avere un potere, ma per servire. Nel brano delle tentazioni, Gesù rifiuta ogni tipo di potere. In particolare, nella terza tentazione, in cui il diavolo gli dice: “Avrai potere per fare tutto il bene che vuoi”, Gesù decide di non raggiungere il suo obiettivo tramite il potere. Per noi è una grande tentazione: quella di prendere il potere per fare del bene (“lo faccio per il tuo bene”) ma agire solo secondo la nostra volontà. Gesù rifiuta uno schema di potere anche buono, che però avrebbe tradito le sue intenzioni e chi voleva essere nel profondo.
Per Gesù il potere ha in sé qualcosa di pericoloso. Non vuol dire che non esistono poteri, ma può esserci qualcosa di diverso: non vedere il mondo semplicemente come diviso in poteri buoni e cattivi. Esiste Qualcuno che davanti al potere, ha deciso che l’unica cosa possibile da fare era quella di morire da giusto, ingiustamente, per salvare il mondo: questo non è un potere buono, è tutta un’altra cosa!
Gesù aveva fede, amava le persone, ha ascoltato. Gesù ha compreso sé stesso e il mondo relazionandosi con le persone giorno dopo giorno. Il suo era un ascolto creativo, da cui si lasciava mettere in discussione e a un certo punto della sua vita capisce che la gente non ha compreso il suo messaggio e che l’unico modo che gli rimane è vivere la salvezza con la vita, morendo in croce da giusto.
L’altro brano fondamentale nella riflessione è stato Matteo 16, 25: “Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà.”
È come se Gesù ci dicesse che per nascere dobbiamo morire, dobbiamo prendere le distanze da questo IO controllante, che ci dà certezze, potere, identità chiuse, e che ci toglie la paura di perdere tutto questo. Il movimento che Gesù ci chiede è di indebolire l’IO e lasciare spazio al SE’ che è la parte più vera di noi. È profonda, complessa perché viene dai nostri valori, dall’infanzia, da quello che abbiamo vissuto. Il vero sé è relazionale. Non esiste un sé autentico e vero dentro di noi, il nostro sé cresce con le nostre relazioni, con l’ambiente, gli amici, l’associazione, il mondo, con Dio.
Se faccio vivere queste relazioni divento una donna e un uomo più veri e trovo la vita già qui. Questo mondo di relazioni non sopporta la violenza. È un livello di grande autenticità in cui esiste solo il far crescere le relazioni. Il mio vero sè è nelle relazioni: non siamo un io roccioso, ma siamo un nesso di rapporti che cresce e in questi c’è anche Dio. Nel sé Dio ti incontra. L’io ci danneggia se diventa una armatura e non ascolta le spinte innovative che arrivano dal profondo e dagli altri, che possono metterci anche in crisi, per diventare più veri e autentici.
Ed è dal potere al servizio la conversione dell’essere: sgretolare l’io rassicurante e angosciato di perdere qualcosa, e lasciare spazio alla parte più vera di noi dove c’è un deposito di gioia infinita. La vita eterna non è per il nostro io, o un mondo in cui finalmente tutti ci daranno ragione; l’eternità è il mio vero sé in relazione e parte già da ora.
Per questo riecheggiano le parole “L’avete fatto a me” in cui Gesù risorto è realmente presente e l’amore dato è far crescere il tessuto di relazioni. Se hai amato e fatto qualcosa, che tu ne sia consapevole o no, hai fatto crescere il regno di Dio. Se non l’hai fatto, hai ridotto il bene che può circolare nel mondo. Non è una metafora: Gesù è presente e vive in queste relazioni di amore non violento tra gli uomini. Se siamo in quelle relazioni, facciamo crescere il mondo.
Questa la sfida di noi adulti, che con l’assemblea finale non hanno dato risposte alle complessità che in questo momento storico si vivono in tutti gli ambiti e anche nella Chiesa, perché non esistono soluzioni pronte, ma tutto cresce nel dialogo, nel confronto vicendevole non violento, nella cura, nell’ascolto perché lì c’è l’umanità di Gesù risorto che sempre porta novità e sempre ci dice di non avere paura e di prendere il largo (e il panorama del primo campo al mare, invece dei monti, è stato un bel segnale!).
Anna Colli